Skip to content

Cavaliere di paesaggi liquidi

di Anna Lisa Ghirardi

Se le immagini di Francesco Levi sino a qualche anno fa illustravano le storie di altri autori, oggi sono esse le protagoniste di racconti visivi autonomi, capaci di narrare con immaginifiche figure e poche calibrate parole. Le ultime ricerche dell’artista si sono infatti orientate verso una narrazione autonoma, in una terra di mezzo tra disegno e rarefatta scrittura, in cui egli predilige evocare piuttosto che descrivere. Le sue opere sono popolate da infinite storie, situazioni, persone che animano mondi dove la realtà evapora e scenari mnemonici, onirici e favolistici si trasformano in apparizioni tangibili. Le sue ambientazioni sono vivificate da presenze che diventano allo spettatore man mano familiari: uomini albero, figure tatuate, pensatori solitari, coltivatori di numeri, uomini racchiusi tra le montagne, pesci neri, case dalle finestre sbarrate…, in cui non mancano materializzazioni di suggestioni popolari, come versi di canzoni o modi di dire. Il procedere del lavoro e tutta la sua opera sono legati ad un elemento naturale, l’acqua; l’artista come primo intervento cosparge infatti le carte di acqua e pigmenti, affinché le macchie affioranti facciano venire a galla suggestioni, come un cavaliere percorre poi idee e visioni. Alla casualità seguono quindi l’azione e la creazione di scenografie e personaggi che, pur mutati, ritornano nel corso dell’opera per affinità di atmosfere e iconografie.
In mostra Levi presenta una serie di carte, tra cui alcuni disegni che la casa editrice Ifix & Oblique ha pubblicato nel volume Watt 0,5. Senza alternativa, un’osmosi inedita tra sistemi segnici diversi: disegno e scrittura. La scrittrice Mari Accardi, partendo dalle immagini di Levi, ha costruito infatti una storia parallela, Elda e il corvo, procedendo con un percorso inverso a quello noto nell’ambito del terreno dell’illustrazione. A Levi l’editore aveva posto due parametri: le dimensioni delle tavole e i colori, nero e cobalto, e nel blu il nostro disegnatore non poteva che procedere peregrino tra laghi, fiumi e paesaggi liquidi.
Il colore ceruleo ritorna sullo sfondo della grande carta appesa al centro della stanza, in cui campeggia la gigantografia di uno dei tanti suoi personaggi: un uomo albero, dotato di piedi e una valigia, appena giunto o pronto a partire. Non resta a noi che immaginare. Tutti i suoi racconti, come è evidente anche nelle sue opere esposte, non hanno infatti un colophon, un inizio, un iter e una conclusione, ma sono infinite storie che possono concatenarsi, intrecciarsi in un numero non calcolabile di possibilità.
Il silenzio e la pausa sono i sottofondi sonori dei luoghi di Levi, in cui affiorano la malinconia, la solitudine e i sogni svaniti, ma il nostro cavaliere ce li fa attraversare con l’illusione di poter toccare un giorno le nuvole.

Una breve conversazione con l’artista

Nelle tue opere ritornano alcuni personaggi e caratterizzanti atmosfere, non rifuggi infatti la ripetizione. Da quali repertori attingi le tue immagini e da quando queste ti accompagnano?
Qualsiasi cosa è in grado di evocare immagini e può essere la scintilla di un’idea. Nei disegni confluiscono e si condensano letture varie, canzoni anni Sessanta, parole che continuano a tornare in mente, pesci giganti, strumenti, uomini albero, conchiglie rifugio, gruppi di persone che sono foreste, montagne come contenitori, infiniti fili elettrici da ricamare, laghi neri e profondi, definizioni del vocabolario, il tutto a formare un “bestiario” personale in continua ripetizione di se stesso, ma anche in continuo accumulo, che prende posizione poi nello spazio del disegno partecipando al racconto.

Che valore hanno le frasi che inserisci nei tuoi disegni?
Le parole sono disegni, linee su un foglio. Poi arriva tutto il resto. Le parole sono disegni con un doppio fondo, nascondono abissi di significati. In un disegno parole e immagini hanno la stessa valenza, non si distinguono. Li tratto alle stesso modo: entrambi raccontano. Uno invade la modalità narrativa dell’altro per produrre un racconto, che è l’illustrazione di se stesso.

Ha un’origine specifica l’uomo albero?
Le persone sono foreste vaganti. Piantano radici e poi se ne vanno. Sono popolate e vive loro malgrado. Basta niente per vedere un albero prendere le sue cose e andarsene. Sono come le persone. Hanno radici profonde e basta un colpo di vento per vederle sparire.

A proposito delle numerose possibili storie contenute nei tuoi rocconti, ad Artefiera di Bologna hai presentato un prototipo di libro, 59049 storie circai*, una sorta di libro scultura illustrata che il lettore è invitato a costruire con le proprie mani in un numero non quantificabile di soluzioni. Questa invenzione mi evoca Il gioco delle favole di Enzo Mari, artista che apprezzi, e mi riporta nell’ambito dei tuoi studi al Politecnico. Ti ritengo un disegnatore tout court, ma evidente è il dialogo aperto con altre arti, quali in particolar modo?.
Il disegno deve essere utilizzato come interferenza per sovrapporsi e mescolarsi ad altre forme di comunicazione. Un’esperienza interessante è stata l’illustrazione radiofonica: qualche anno fa ho realizzato alcuni disegni per la trasmissione di Radio2 “Amnesia”, in diretta radiofonica Matteo Caccia li interpretava e leggeva, intrecciandoli ad alcune sue storie. Sul disegno L’arcobaleno è inutile se la tua casa affonda e hai appena sbarrato porte e finestre si è basato invece un laboratorio teatrale, diretto dal Teatro Belcan, dal quale è nato in seguito un libro di racconti illustrati Dodici grandi storie dodici piccole storie. In 59049 storie il disegno interagisce con il supporto e gioca con la carta, con le pieghe e con i fori in un continuo e quasi inesauribile racconto.

Nella tua ultima mostra Il domatore di nuvole e altri spettacoli di destrezza e potenza della mente presso la chiesa di San Lorenzo a Gussago (BS) hai collaborato con l’artista Roberto Ciroli, con cui tra l’altro condividi un grande studio a Brescia. Alcune delle tue immagini sono diventate vere e proprie presenze tridimensionali e i tuoi scenari si sono incontrati con i personaggi altrettanto fantasiosi di Ciroli. Hai raccolto delle suggestioni e delle riflessioni da questa esperienza?
Ho grande stima del lavoro Roberto Ciroli. É da alcuni anni che condividiamo lo studio e in questo tempo le nostre cose si sono autonomamente e involontariamente mescolate. L’anno scorso abbiamo deciso di esporre insieme nella chiesa di San Lorenzo, realizzando opere a quattro mani. Sono nate alcune installazioni con domatori di nuvole, incantatori di pesci e pescatori di stelle. lo ho tatuato delle sculture e lui ha inserito dei personaggi nei miei disegni. Credo sia stato un grande gesto di fiducia l’affidare all’altro il proprio lavoro per manometterlo, cambiarlo e concluderlo. Incontrando le sue sculture il disegno si è rigenerato, sbocciato in forma solida e riscoperto in sostanza volatile.

Attualmente stai riordinando e catalogando le opere di tuo padre, il pittore Eugenio Levi. C’è un insegnamento artistico che ti ha lasciato e che credi di aver assorbito?
È una domanda difficile. Sono cresciuto osservando mio padre che disegnava incessantemente. Un fiume in piena. L’ho osservato addentrarsi come un esploratore nel mondo che creava, percorrere incessantemente strade nuove e inesplorate seguendo sempre ed esclusivamente il filo dell’intuizione e della sensibilità. Concentrarsi sul lavoro, sul lavoro e non su altro. In questo periodo nel quale, con il supporto dell’Associazione culturale Aref di Brescia, sto catalogando centinaia di opere di mio padre, penso spesso al dovere di un artista di porre al centro la propria ricerca, sentendosi perennemente perso e straniero nel mondo che continuamente immagina.

Che rapporto hai con il silenzio che precede e percorre la composizione dell’opera?
I miei disegni sono preceduti e percorsi dal rumore. E rumore reale di radio che anticipa e accompagna il disegno. Ed è rumore della comunicazione: incessante equivoco prodotto dalle parole e dal loro infinito eco nelle persone. I disegni sono frutto piuttosto di confusione sonora. Ci sono fiumi e piogge violente, persone nelle conchiglie scosse da echi incontrollabili e vibrazioni di onde elettromagnetiche. I personaggi sono spesso sprofondati nel silenzio ma percorrono paesaggi ricchi di sonorità elettriche e rumori della natura

 

Torna su